Sulla base di una recente indagine economica condotta da parte de IlSole24ore© - report pubblicato in data 31.08.2016 - il nostro bel Paese vanta un increscioso primato: medaglia d’oro per il Paese europeo con la maggiore pressione fiscale sulle società, collocandosi a quota 64,8%. Il podio è occupato poi dalla Francia (62,7%) ed a seguire dal Belgio (58,4%).
L’indagine è stata condotta ponendo a confronto i Paesi dell’Unione Europea ed anche i principali paesi del mondo (Giappone, Australia, Russia…).
Tuttavia se guardiamo più in basso nella graduatoria, è evidente che Paesi come l’Irlanda e la Danimarca, hanno una pressione fiscale inferiore più della metà, rispettivamente del 25,9% e del 24,5%.
Com’è possibile che in un unico mercato europeo comune si assista a tali macro squilibri?
La risposta è semplice. Perché le imposte sulle società e quelle sul reddito delle persone fisiche rientrano esclusivamente nelle competenze dei singoli Stati Membri e l’UE non ha un ruolo diretto nell'imposizione fiscale o nella fissazione delle aliquote delle imposte. Si tratta della c.d. sovranità fiscale riservata a ciascun Paese.
Quindi un’impresa che svolge attività in un Paese di oppressione fiscale non ha rimedi? E’ costretto a rimanervi in condizioni di mortificazione economica, se non addirittura di improduttività? In realtà un rimedio c’è! Il principio di libertà di stabilimento.
Secondo quanto stabilito dal Trattato CE - prima - con norme confluite poi nel TFUE agli artt. 49-55, la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi consentono e garantiscono la mobilità delle imprese e dei professionisti nell'Unione Europea. Da ciò deriva una preziosa ed imperdibile libertà di scelta, libertà di scegliere il peso dell’imposizione fiscale gravante sulla propria attività imprenditoriale.
Notevole a questo proposito è stata la sentenza pronunciata quasi un anno fa dalla Sezione Penale della Corte di Cassazione nel caso Dolce & Gabbana, la quale, rifacendosi alle precedenti sentenze della Corte di Giustizia ha chiarito che: “se una società ha deciso di costituire delle «subsidiaries» in altro Paese membro al fine di beneficiare del favorevole regime fiscale che tale stabilimento comporta, ciò non costituisce di per sé un abuso e quindi non preclude alla suddetta società la possibilità di invocare gli artt. 43 e 48 del Trattato”.
Illuminante è la famosa sentenza Centros (sentenza 9. 3. 1999 - causa c-212/97 punto 25, e X e Y, punto 42). Nel valutare il comportamento del soggetto imponibile si deve tener particolarmente presente l'obiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento. Trattasi dell'obiettivo di permettere a un cittadino di uno Stato membro di creare uno stabilimento secondario in un altro Stato membro per esercitarvi le sue attività e favorire così l'interpenetrazione economica e sociale nel territorio della Comunità nel settore delle attività indipendenti.
La libertà di stabilimento intende, a tal fine, permettere a un cittadino comunitario di partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne il vantaggio che le leggi dello Stato eletto gli assicurano. Forse gli Stati che hanno una gravosa e scoraggiante tassazione si dovrebbero chiedere quanto essa possa giovare allo sviluppo economico del Paese.
Milano, 1 settembre 2016.
Avv. Giovanni Babino
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